L' 8
Settembre
1871 può probabilmente essere considerata come la data di
nascita
della fotografia moderna, quel giorno sul “British
Journal of Photography”
venne pubblicata una lettera in cui
Richard Leach Maddox, medico e fotografo dilettante,
descriveva
un procedimento per preparare lastre fotografiche secche in
cui
il collodio era sostituito dalla gelatina animale.
La gelatina
animale (chimicamente una miscela di proteine) era conosciuta da vari
secoli, era utilizzata in cucina ed erano conosciuti anche
vari
prodotti collanti che la contenevano; si otteneva (e si
ottiene
tutt'oggi) da residui di macellazione (ossa, cotenne, pelli di
vitello o maiale) che erano sottoposti a numerosi trattamenti con
acidi ed alcali.
Maddox non
intuì minimamente le possibili implicazioni
tecniche e
commerciali di quella innovazione, decise di utilizzare la
gelatina solo perchè non sopportava l'odore dell'etere
etilico
durante la lavorazione del collodio; non presentò
alcuna
richiesta di brevetto anzi nella lettera diceva di non avere il
tempo per perfezionare il proprio metodo e quindi
invitava
i lettori a continuare negli esperimenti.
Nel procedimento
originario la gelatina veniva sciolta in acqua, si aggiungeva
miscelando una soluzione di Bromuro di Cadmio e quindi sempre
miscelando una soluzione di Nitrato d'Argento; in questo modo
si
formava un'emulsione contenente Bromuro d'Argento che veniva stesa
sulla lastra di vetro e lasciata
asciugare.
Le lastre così
preparate avevano comunque una sensibilità paragonabile a
quella
delle lastre al collodio.
Nel 1873
l'inglese Richard Kennet mise a punto un primo miglioramento che
consisteva nel lavaggio dell'emulsione preparata in modo da eliminare
i sali solubili che non avevano reagito o che si formavano dalla
reazione Cadmio Bromuro / Argento Nitrato.
L'emulsione ancora allo
stato gelatinoso si faceva passare attraverso un telo a trama larga
in modo da ottenere dei grossi filamenti simili a
“tagliatelle”
che si lasciavano immersi in acqua per circa un'ora e poi si
filtravano. Per migliorare ancora la sensibilità le lastre
preparate con questa emulsione era tenute in camere oscurate e
riscaldate per un certo periodo di tempo.
Infine nel 1878 Charles H.
Bennet riuscì ad ottenere una emulsione con una
sensibilità
mai raggiunta prima, nel suo procedimento, prima del lavaggio,
l'emulsione veniva tenuta per diversi giorni alla
temperatura
di 32 °C; da allora questa fase venne indicata con il termine
“maturazione” e le lastre ottenute con l'emulsione
così
preparata permetteva l'uso di tempi vicini a 1/25 di secondo in pieno
sole ovvero era possibile fotografare anche soggetti in
movimento.
Negli anni
immediatamente successivi nacquero molte industrie per la produzione
di lastre alla gelatina - bromuro d'Argento perchè
per il
fotografo era più pratico e conveniente acquistare lastre
già
preparate che poi, dopo l'esposizione, lo stesso fotografo
provvedeva a sviluppare e fissare nel proprio piccolo o grande
laboratorio.
Le lastre
alla gelatina - Bromuro d'Argento avevano
comunque ancora molti difetti:
- la sensibilità generale alla luce,
detta anche “rapidità”
- la sensibilità cromatica,
cioè ai colori
- l'alone
I vari fabbricanti facevano a gara
nello studiare, provare, mettere a punto nuove
“ricette” e nuovi
procedimenti, che ovviamente erano segreti ai più,
e anno dopo
anno venivano messi in commercio prodotti con caratteristiche
sempre più innovative.
Per aumentare la rapidità
delle lastre, ma
anche per modificare altri aspetti come la nitidezza, si
lavorò
in varie direzioni :
- sulla
possibilità di ottenere emulsioni che contenessero
anche altri
alogenuri oltre al Bromuro d'Argento, in particolare lo
Ioduro
- ci si accorse come la fase di maturazione fosse importante
con la possibilità di ottenere cristalli di alogenuro
d'Argento più
o meno grossi e di forma diversa
- si sperimentò con
successo l'aggiunta di piccole quantità di composti
contenenti zolfo
ed anche oro.
Oggigiorno la rapidità di un
supporto sensibile,
soprattuto per negative, è indicato da un numero e da
un'unità di
misura; più alto è il valore numerico, maggiore
è la
sensibilità.
Per le lastre del periodo che stiamo
raccontando ciò
non era possibile per vari motivi; non esistevano ancora metodi per
la misura della sensibilità e comunque la
qualità delle lastre
non era per nulla standardizzata e differiva da produttore a
produttore e spesso anche lastre uguali dello stesso fabbricante non
avevano una sensibilità costante e precisa.
La rapidità delle
lastre veniva genericamente indicata con i termini:
- Lente
(le meno sensibili)
- Rapide
- Extrarapide
-
Ultrarapide (le più sensibili)
Il primo
sistema standardizzato utilizzabile per valutare la
sensibilità
delle emulsioni fotografiche fu messa a punto nel 1890 in Inghilterra
da due scienziati e fotografi dilettanti F. Hurter e C.
Driffield (sistema H&D); seguì nel 1894 un
metodo quasi
identico proposto dall'astronomo tedesco J. Scheiner
(sistema
Scheiner).
Però solo a partire dai primi
anni del 1900 i
produttori di materiale sensibile cominciarono ad
indicare
per i propri prodotti oltre ai soliti termini generici anche
il
valore della sensibilità calcolata, ogni fabbricante
però
utilizzava il sistema che ritenev più opportuno
e così i prodotti inglesi seguivano il sistema H&D
mentre quelli
continentali il sistema Scheiner .
I metodi moderni furono
introdotti molto più avanti e precisamente il sistema
tedesco DIN
nel 1933 ed il sistema anglo-statunitense ASA all'inizio del
1940.
Volendo paragonare il materiale
sensibile di allora con
quello odierno, considerando che i supporti meno sensibili di oggi
hanno una rapidità di 50 ASA/ 18 DIN, si può
approssimativamente
calcolare che le lastre Ultrarapide avevano una sensibilità
di circa 5 ASA/ 8 DIN che scendeva per le Rapide a circa 0,8 ASA/ 1
DIN. Come
già
detto con il materiale sensibile fino ad allora inventato si
ottenevano immagini in bianco e nero, in cui i colori dei soggetti
erano riprodotti in bianco, in nero o nelle varie tonalità
di
grigio. In realtà però la sensibilità
non era uguale per tutti i
colori; era alta per il blu ed il violetto (colori attinici) mentre
era scarsa o nulla per il rosso, l'arancio, il giallo e il
verde
(colori inattinici).
Questo portava all'ottenimento di
immagini
fotografiche in cui i colori del soggetto venivano
riprodotti
in modo completamente errato: ad esempio fotografando una
tabella divisa in due parti di cui una di colore blu (scura) ed una
di colore giallo (chiara), si otteneva una fotografia in cui la parte
relativa al blu era molto più chiara di quella relativa al
giallo.
Nel 1873 un ricercatore tedesco, H. W.
Vogel, scoprì che
aggiungendo alla emulsione una sostanza colorante la
sensibilità
verso i colori inattinici migliorava; in particolare un
colorante azzurro migliorava la sensibilità per il
giallo, un
colorante verde per il rosso e via di questo passo nel senso che ogni
colorante migliorava la sensibilità per il colore
complementare
al bianco.
Utilizzando
gli studi di Vogel vennero prodotte delle lastre, dette
“ortocromatiche” in cui la
sensibilità verso i colori
inattinici era migliorata anche se prevaleva ancora la
sensibilità
al violetto/blu; per migliorare ancora la resa verso il giallo/rosso
occorreva, durante la posa, porre davanti all'obiettivo un
filtro colorato (giallo, verde o arancio) che aveva la funzione di
assorbire la radiazione blu/violetta, diminuirne il passaggio
e
quindi l'azione sulla lastra.
Utilizzando i filtri colorati occorreva
però aumentare il tempo di posa.
Nei primi anni del 1900 la
sensibilità verso i colori venne ancora migliorata,
le lastre
di questo tipo vennero dette “pancromatiche”, ma la
riproduzione
dei vari colori in toni di grigio era ancora molto
imperfetta.
L'alone appariva come una nebbia
biancastra
presente in una zona in ombra (scura) subito a confine con una
zona particolarmente chiara, in buona parte era dovuta ai raggi di
luce non assorbiti dallo strato di emulsione sensibile che dopo aver
attraversato il vetro della lastra venivano riflessi dalla faccia
posteriore
della stessa e tornavano a reagire con l'argento
dell'emulsione.
Nei primi anni del 1900 il problema
venne risolto
con la produzione di lastre antialone (o antihalo) dove una strato
colorato veniva steso sulla lastra di vetro prima dello strato di
gelatina / Bromuro d'Argento, questo strato intermedio era in
grado di assorbire durante la posa la parte di radiazione
luminosa che diversamente sarebbe stata riflessa.
Anche le
carte sensibili su cui ottenere le immagini positive erano
ormai
prodotte da industrie piccole e grandi, tra i tipi di carta
resisteva quella albuminata seguita da quella al collodio /
Cloruro d'argento, ma presto iniziò la produzione anche di
carte
sensibili alla gelatina.
Tra la fine
del 1800 e i primi anni del 1900 le industrie fotografiche si
moltiplicarono soprattuto nei paesi allora più
industrializzati:
-
Inghilterra ( Imperial, Barnet, Ilford, Wellington,
.........)
- Germania ( Hauff, Agfa, Schleussner, Perutz,
Groesser, Schering, .........)
- Belgio ( Gevaert, ......)
-
Francia ( Lumiere, Jougla, Grieshaber, Guilleminot,
............)
- Italia ( Cappelli, Tensi, La Luminosa, Gyska,
..)
La maggior parte si estinse in pochi
decenni, alcune
contribuirono attivamente alla evoluzione della fotografia:
fotografare non era mai stato così facile ma ancora c'era
molto da
fare e da inventare.
Testi vari per approfondimenti
L'
art en photographie avec
le procédé au gélatino-bromure d'argent
Giovanni
Muffone Manuale di fotografia per i dilettanti (1887)
Théorie
et pratique du procédé
gélatino-bromure d'argent / par le docteur
J. M. Eder
Dry
plate making for amateurs
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Richard
Leach Maddox (1816-1902)

fonti per la
gelatina

maturazione
delle lastre

da La
Fotografia Artistica 1910

da Il
Progresso Fotografico 1911

tabella
giallo/blu con lastra normale (SN) e con lastra
ortocromatica + filtro colorato (DX)

esempio di
fotografia: fiori gialli su fondo blu con lastra normale (SN) e con lastra
ortocromatica + filtro colorato (DX)

foto con
alone (SN) e su lastra antihalo (DX)

da La
Fotografia Artistica 1906

da La
Fotografia Artistica 1906
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